(da Voce Amica di Ottobre 2014 un ricordo di Mario il sacrista, scomparso lo scorso Settembre nel giorno del suo 90esimo compleanno)
Sul finire degli anni ’60, lo sviluppo di nuovi quartieri
residenziali e l’intensificarsi delle industrie a Cernusco, a Sud del Naviglio,
avevano visto la nascita proprio in quell’area della città di una nuova
Parrocchia: un’ampia cappella ne era diventata ben presto la chiesa
provvisoria, con annesso il Centro Paolo VI e il campo di calcio, quest’ultimo
destinato a lasciare spazio nel tempo alla costruzione della chiesa vera e
propria. E un nome – San Giuseppe Lavoratore – già espressione del forte
legame con la realtà e la gente di quel quartiere. Anni bellissimi, in cui
coinvolgere ed essere coinvolti in prima persona nella vita del nuovo oratorio
era la cosa più naturale al mondo.
Il tempo e le scelte lungimiranti dei protagonisti di
allora, lo sappiamo, hanno portato poi a evoluzioni differenti da quanto
ipotizzato inizialmente: la prima pietra della nuova chiesa è infatti ancora
sotterrata sotto il dischetto di centrocampo del campo di calcio dell’oratorio
Paolo VI, mentre la vela della nuova chiesa si alza bellissima poco più in là,
nel mezzo delle tre torri. Una nuova palestra accoglie lo sport in oratorio, a
ridosso del muro vicino al quale ci si ritrovava per giocare “al volo” con un
pallone e un gruppo di amici.
Sarà perché ripensare agli anni in cui si è stati bambini
porta sempre a mitizzare persone e situazioni, ma quei fantastici anni ’70 (e
anche ’80) al Paolo VI erano davvero carichi di energia e voglia di fare,
popolati di figure significative. E per chi all’epoca decideva di indossare la
veste nera e la cotta bianca di chierichetto, due erano i riferimenti: il
Parroco Don Giuseppe e il Mario sacrista.
Se Don Giuseppe era il custode degli insegnamenti del
nostro servizio all’altare e il motivatore – ogni giovedì pomeriggio, nella
riunione settimanale – del nostro impegno, il Mario sacrista era il signore
indiscusso dell’angusta sacrestia di allora (oggi è la cappellina piccola
piccola in cima alle scale interne dell’oratorio), stipata all’inverosimile nel
triduo pasquale di lettori, incenso e cantari.
Convocati rigorosamente almeno un quarto d’ora prima
dell’inizio di ogni messa, in quei minuti che precedevano la celebrazione il
Mario sacrista – solo per pochi Mario Ornaghi - era per noi chierichetti il modo
per ripassare (o imparare) il dialetto milanese; era la controparte ideale per
commentare i risultati dell’ultima giornata di Serie A e sfottere un poco la
sua Inter; era il dispensatore di massime e battute ma anche colui che
richiamava al rispetto del luogo i più scalmanati di noi. Era il narratore di
tutte le malefatte e le situazioni tragicomiche in cui generazioni di
chierichetti si erano ritrovate sotto i riflettori dell’altare: la croce di
legno usata nelle processioni e distrutta contro lo stipite alto della porta
uscendo di corsa dalla sacrestia, il turibolo rovesciato ai piedi del Vescovo
in visita pastorale nel tentativo malriuscito di una rotazione a 360°, lo
svenimento per la troppa tensione durante una lunga messa di Natale nella nuova
chiesa…quante ne aveva viste il Mario sacrista?
Il Mario sacrista era anche l’esempio di un servizio
semplice e sorridente, di quelli che è bello incontrare nella propria vita in
oratorio. Semplice e sorridente. Un po’ come quello di Don Giuseppe, in tutti i
suoi anni tra noi.
Ermanno
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