La notizia dell'assegnazione dei Mondiali di calcio al Brasile per l'edizione del 2014 mi coglie mentre scollino sotto la neve con la mia macchina il passo del Foscagno. Contrappasso sportivo e temporale.
Un Mondiale che si gioca in Brasile è come fare una convention di petrolieri in Arabia Saudita, dare appuntamento a tutti i pinguini del mondo al Polo Nord, riportare un professore di storia indietro nel tempo all'epoca dei Greci e dei Romani. E' il calcio che torna non dove è nato ma dove è diventato spettacolo e passione, dove si è intrecciato con la vita - spesso fatta di povertà, dove ha fatto nascere campioni entrati nei sogni e nell'immaginario di appassionati di tutto il mondo.
L'unico mondiale in Brasile è fatto fino ad oggi di giornali dell'epoca, di racconti alla radio. E' la tragedia del Maracanà, 16 Luglio 1950, Brasile - Uruguay 1-2. E' il gol del vantaggio di Ghiggia a 9 minuti dalla fine della partita. E' il capitano dell'Uruguay Obdulio Varela che alza la Coppa davanti a 150.000 tifosi brasiliani ammutoliti. E' la cronaca che diventa storia e poi leggenda e poi letteratura. E' un racconto di Osvaldo Soriano. Fùtbol. Allo stato puro.
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