Rivolgo un caloroso saluto alle autorità civili, militari e religiose; al Senatore
Eugenio Comincini; ai rappresentanti delle Forze dell’Ordine, alle Associazioni
d’Arma e ai cittadini intervenuti per celebrare il Giorno dell’Unità Nazionale
e la Giornata delle Forze Armate, nel centenario della conclusione della Prima
Guerra Mondiale, ai piedi di questo monumento inaugurato nel 1927 per ricordarne
i caduti.
Per quelli della mia generazione, la grande guerra è la guerra dei nostri
nonni: i nonni che lo scorrere del tempo non ci ha permesso di ascoltare nel
loro racconto di quei giorni al fronte, in trincea; i nonni delle foto in
bianco e nero, che sbucano ogni tanto da album di ricordi sempre più lontani; i
nonni il cui nome era stampato in un quadro con il Diploma e la Croce di
Cavaliere di Vittorio Veneto, appeso alla parete di casa, da piccoli. La guerra
dei nostri nonni è la guerra che finì 100 anni fa ma che ancora oggi ci parla e
ci racconta le storie delle donne e degli uomini che l’hanno vissuta.
Erano le 12.00 del 4 Novembre 1918 quando il Capo di Stato Maggiore
dell’Esercito Italiano, Armando Diaz, stilava il Bollettino di guerra N.1268: ‘La guerra contro l'Austria-Ungheria – recitava
il testo - che, sotto l'alta guida di
S.M. il Re, duce supremo, l'Esercito Italiano, inferiore per numero e per
mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore
condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta. La gigantesca
battaglia ingaggiata il 24 dello scorso ottobre ed alla quale prendevano parte
cinquantuno divisioni italiane, tre britanniche, due francesi, una cecoslovacca
ed un reggimento americano, contro settantatré divisioni austroungariche, è
finita'.
L’Italia
concludeva vittoriosa la propria quarta guerra d’indipendenza, annettendo le
terre irredente ma pagando un prezzo altissimo: 650.000 caduti di guerra,
590.000 vittime civili, 470.000 mutilati e invalidi.
In quella
storica giornata di 100 anni fa, la notizia arrivò anche a Cernusco sul Naviglio: viale Assunta – allora via Milano - si riempì di
persone trepidanti che accorrevano alla stazione del tram per averne conferma,
perché giungendo da Milano, era proprio dalla stazione che l’annuncio della
pace si era diffuso, e poi tutti di corsa giù in paese passando proprio qui
davanti, di fronte al Municipio, gridando che la guerra era finita per davvero;
il suono a festa delle campane della chiesa in quella che oggi è Piazza
Matteotti risuonò per un giorno intero, a raggiungere anche i cernuschesi
costretti a letto da una terribile epidemia influenzale di febbre spagnola che
fece 500.000 vittime in tutta Italia, decine anche nella nostra città; la gente
rimase per strada fino a notte fonda, travolta da un’enorme sentimento di
gioia.
Anche Cernusco
sul Naviglio, paese di circa 7.000 abitanti, contò tristemente le proprie vittime:
125, di cui una trentina morirono in ospedale, dodici in
prigionia, sette a casa, tutti gli altri al fronte, a cui erano stati inviati
in larga parte per costituire la fanteria del nostro esercito. Tre di loro
furono insigniti della medaglia al valore per gli atti eroici di cui furono
protagonisti in battaglia.
Tutti i loro nomi sono scolpiti in due lapidi presso la cappella
principale del nostro cimitero: vi ho fatto visita in questi giorni, per
rileggerli e farne memoria.
In loro ricordo voglio menzionare i più giovani, due dei famosi ‘ragazzi
del 99’: il soldato Perego Enrico, del 90° Fanteria, e il Soldato Galbiati
Pietro, del 2° Artiglieria Treno. Appartenevano alla leva del 1917, quando
furono inviati al fronte insieme ai loro coscritti appena diciottenni in un
momento di gravissima crisi per l’Italia, che culminerà nella disfatta di
Caporetto del 24 Ottobre 1917 e dalla quale il Regio Esercito riuscì a
risollevarsi grazie all’apporto dei giovani soldati nati nel 1899, unito
all’esperienza dei veterani.
Nella guerra dei nostri nonni, un’intera generazione di giovani italiani
fu chiamata ad offrire la propria vita e a immolare il proprio futuro affinché
altri italiani potessero viverlo in un Paese unito e libero; testimoniarono uno
spirito di servizio e un senso di altruismo e dedizione per consegnarli ad una
intera comunità nazionale come esempio in cui riconoscersi; sognarono di
tornare a casa e vivere con le proprie famiglie, in pace, ma non si sottrassero
al loro dovere. Sono quei valori che ancora oggi i militari del nostro esercito
portano con professionalità in Italia, in concorso con le Forze di
Polizia ed in soccorso alle popolazioni colpite da calamità naturali, e
nel mondo, dove in prima linea in missioni internazionali garantiscono la pace
in zone attraversate da tensioni tra popoli e da crisi tra nazioni.
La guerra dei
nostri nonni è stato anche uno straordinario tempo di solidarietà e di
accoglienza tra le persone.
Insieme alle
notizie dei primi cernuschesi caduti (alla fine del 1915 erano già una
ventina), dei feriti, dei mutilati, dei prigionieri e insieme ai racconti sulla
durissima vita in trincea e sui massacri causati dalle offensive
austro-ungariche che i militari in permesso raccontavano al loro ritorno, nel
1916 numerosi profughi iniziarono a giungere a Cernusco sul Naviglio dalle zone
di guerra, parlando un dialetto differente dal nostro, proprio come avveniva
tra i nostri soldati al fronte, provenienti da tutta Italia ma non ancora
italiani nello spirito: si trattava soprattutto di giovani donne, sole o con
qualche famigliare, che trovarono ospitalità presso famiglie contadine o
vennero assunte come domestiche nelle case dei benestanti.
Diversi di
questi profughi si stabilirono poi definitivamente nella nostra città, segnata
come tutte le città italiane da una profonda crisi: un tempo erano famiglie
italiane – di dialetti e tradizioni differenti dal nostro – ad essere in fuga
dalla guerra alla cerca di un futuro migliore per i propri figli, e non furono
sufficienti la povertà e la miseria causate dalla guerra a prosciugare quei
sentimenti di accoglienza o a chiudere quei porti di solidarietà che la nostra
città dimostrava allora come oggi.
Anche
il primo dopoguerra fu tutt’altro che semplice, con il problema di reintegrare
i reduci nella vita civile e di garantire un valido sostegno alle decine di mutilati,
invalidi, vedove e orfani di guerra. Per questo nacquero a Cernusco sul
Naviglio due associazioni, che videro impegnati istituzioni e cittadini nel
dare una risposta a questi problemi.
I reduci, poi, che avevano creduto in
una società migliore quale contropartita del sacrificio di sangue, trovarono al
loro ritorno un paese agitato dalle urgenze di mille problemi dovuti ai
notevoli cambiamenti sociali e culturali: disoccupazione, rialzo dei prezzi di
tutti i generi di prima necessità, scioperi e manifestazioni di piazza.
Cernusco sul Naviglio era un paese
prevalentemente agricolo, di un’agricoltura povera, in cui la stragrande
maggioranza della popolazione addetta viveva in precarie condizioni: proprio
per dare risposta a queste emergenze nacquero due cooperative mutualistiche di
lavoro, produzione e consumo e una di queste – la Cooperativa Agricola
Cernuschese – ha anch’essa festeggiato quest’anno, evolvendo secondo le
necessità di epoche e mercati, i suoi primi 100 anni.
La
guerra dei nostri nonni, insomma, è stato un tempo cattivo e duro, che con gli
egoismi nazionali di cui rimase pervaso anche al termine delle ostilità pose le
basi per le successive stragi, ma fu un tempo altrettanto ricco di solidarietà
umana e materiale tra le persone, che si rinnovano ai nostri occhi come monito
nei confronti dei sentimenti di chiusura e personalismo che attraversano i
nostri giorni e le nostre paure.
'Come
è possibile – ha ricordato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella,
in una intervista di questa mattina sul significato del 4 Novembre – pensare
che benessere, libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell’uomo possano
riguardare alcuni al mondo? La pace e i diritti sono indivisibili: dobbiamo
prendere atto che la frontiera del bene comune è diventata più ampia e questo
richiede apertura di pensiero e iniziative modulate su misura di questo nuovo,
più ampio scenario'.
Per quelli della mia generazione, dicevo all’inizio, la grande guerra è la
guerra dei nostri nonni: lo è stata anche di mio nonno Valentino, fante in
trincea, fatto prigioniero e detenuto in Austria, ritornato a casa nel 1919,
diploma N.29.088 di Cavaliere di Vittorio Veneto.
Il nonno contadino semplice che prima di morire chiese al sindaco del suo
paese di essere seppellito in una tomba all’ingresso del cimitero con la
scritta ‘Cavaliere di Vittorio Veneto’ ben in vista affinché ancora oggi, dopo
45 anni, quella scritta possa ricordare ai visitatori il drammatico dovere
compiuto da una generazione di italiani, cento anni fa. Perché nessuno sia più
chiamato a compierlo.
La guerra dei nostri nonni ci consegna la memoria della morte e del
sacrificio per chiederci di farci custodi oggi di un presente e di un futuro di
pace, di giustizia e di solidarietà.
W le Forze Armate!
W l’Italia unita!
W l’Italia in pace!
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