venerdì 18 maggio 2007

UNA RIFLESSIONE SULLO SPORT DI BASE

La pratica sportiva in Italia è un fenomeno molto diffuso: gli ultimi dati Istat disponibili indicano in 33 milioni gli abitanti italiani con più di 3 anni che possono considerarsi “attivi”, di cui 12 milioni attraverso la pratica di attività sportive continuative e 21 milioni con un’attività sportiva leggera; tra i 12 milioni di “sportivi continuativi”, ben 8 milioni sono iscritti a società sportive per lo più di natura associazionistica dilettantistica (fonte Istat in www.coni.it). Sono davvero lontani i tempi in cui, ed era la fine degli anni 50, la quota di sportivi italiani era di appena 1 milione e 300.000 persone (pari al 2,6% della popolazione) e gli sport più praticati erano la caccia e gli sport di tiro (fonte Istat – ricerca “Lo sport che cambia”, 2005).
A partire dagli anni 70 è maturata anche in Italia, come in tutti Paesi industrialmente avanzati, una crescente domanda di “sport per tutti” e la rilevanza sociale che lo sport ha assunto ha trovato ampi riconoscimenti da parte delle istituzioni italiane ed europee. Già nel 1975 il Consiglio d’Europa sancì il diritto di ogni cittadino di praticare sport: “Lo sport per tutti riveste un ruolo importante nello sviluppo socio-culturale di un Paese, in quanto avente la funzione fondamentale di preservare l’equilibrio fisiologico dei cittadini, minacciato dalla carenza di esercizio fisico dettata dalla società industriale, e di rispondere ad alcune esigenze socio-culturali, quali il bisogno di esprimersi, di comunicare, di inserirsi meglio nella comunità sociale, di compiere un tirocinio di responsabilizzazione”.
Il “Forum permanente del Terzo settore”, nella “Carta dei Principi dello sport per tutti”, ha ben espresso la funzione sociale dello sport nella società odierna, individuando almeno cinque ruoli:
• Un ruolo formativo;
• Un ruolo di prevenzione sanitaria;
• Un ruolo di inclusione e coesione sociale;
• Un ruolo di educazione alla democrazia;
• Un ruolo di economia sociale.
Il ruolo formativo e quello d’inclusione e coesione sociale, in particolare, credo rappresentino la grande sfida dei nostri giorni per chi organizza attività sportiva.Il ruolo formativo riguarda i ragazzi e i giovani e pone anche le varie associazioni sportive nell’importante ruolo di “agenzie educative”: lo sport educativo, infatti, non è solo uno strumento contro la devianza giovanile, ma anche e soprattutto una normale risorsa nel percorso di formazione della persona, attraverso la quale venire a contatto con valori quali il rispetto delle regole, il rispetto dell’avversario e dei compagni, l’assunzione di responsabilità,…
Il ruolo d’inclusione riguarda il coinvolgimento nella vita sociale di categorie di persone spesso ai margini: immigrati, persone diversamente abili, famiglie con difficoltà economiche…Lo sport e la sua pratica sviluppano un contesto relazionale come pochi, davvero capace di abbattere le barriere di comunicazione tra le persone e le culture.Nello sport per tutti, dunque, il fine sociale della pratica è prevalente su quello della performance. Non di meno, però, lo sport deve essere “vero e di qualità”, perché solo se è vero esprime tutti quei valori positivi di cui è portatore e solo se è di qualità (in strutture adeguate, con allenatori formati e in gruppi sportivi organizzati) è piacevole ed educativo praticarlo.
L’eccellenza, dunque, non è un valore negativo, ma lo diventa se rappresenta l’unico obiettivo e metro di misura di un’attività e di una proposta sportiva.Sport per tutti, sport vero e di qualità: questa appare essere la sfida lanciata allo sport di base dalla frammentata società odierna, perché sia anch’esso parte non secondaria nel processo di educazione e socializzazione dei giovani e delle persone.

Ermanno


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