Per chi ha a che fare con il calcio giovanile - non tutto, certo, ma buona parte di esso - e in particolare, per quanto mi riguarda, con la realtà del CSI, il terzo tempo non è una novità. La consuetudine di salutare dopo la partita la squadra e gli allenatori avversari o l'accoglienza che è fatta anche di una merenda insieme preparata dalle mamme alla fine della partita sono solo alcuni dei gesti che gli allenatori e dirigenti della Polisportiva GSO - è la società di cui sono presidente - si impegnano a mettere in pratica con i propri ragazzi. Certo, quando si perde è tutto più difficile, ma è anche più bello compiere il gesto di sportività: troppo comodo farlo da plurivincitori medagliati osannati.
Il dibattito di questi giorni sul terzo tempo imposto alla Serie A dalla Lega calcio e i vari distinguo ("non dovrebbe essere obbligatorio", " dopo una sconfitta già siamo incazzati....") è dunque molto deprimente perchè esprime davvero la ritrosia a mettersi in discussione, a svelenire dibattiti, a dare l'esempio concreto e non solo a parole. In questo momento la Serie A sembra - per tornare all'esempio delle squadre giovanile - il bambino della nostra squadra molto forte ma un po' indisciplinato che, alla fine della partita, deve essere richiamato e rincorso perchè si fermi con i compagni a farlo davvero il terzo tempo. Forse non sarà sincero, forse l'obbligatorietà è per il suo gesto un po' mortificante, ma certo è educativo che lo faccia insieme ai suoi compagni. Ma una cosa è bella: che sempre di più i marziani sono quelli della Serie A.
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