Articolo pubblicato sul numero di Marzo 2006 del Mensile NVA di Cernusco.
Lo posto a ricordo della fantastica esperienza olimpica a Torino, nel febbraio di 2 anni fa.
e.zac
Lo scorso febbraio ho avuto la fortuna, per lavoro, di seguire da vicino le Olimpiadi di Torino. E’ stata un’esperienza davvero unica. Per l’evento sportivo, certo, ma soprattutto per la straordinaria atmosfera che si poteva “respirare” in quei giorni per le strade di Torino: la presenza cortese dei volontari, l’accoglienza dei torinesi, i volti di tantissime nazionalità, la voglia di esserci della gente. In mezzo al lavoro di sponsor, televisioni e forze dell’ordine, ho cercato di scoprire se un evento così grande, al di là delle imprese sportive dei singoli atleti, portava ancora con sé il senso di uno sport positivo per la gente. Forse la fiamma che illuminava lo Stadio Olimpico di Torino non rappresentava i valori di unione, di pace tra i popoli, di lealtà di coraggio, di fratellanza e di solidarietà? Ecco tre momenti del mio ideale diario.
Domenica mattina 12 febbraio, ore 10.00 circa, e sul bus navetta partito dal parcheggio di Ulzio sto salendo al Sestriere per la gara di Discesa Libera Maschile. Oltre ad alcuni miei colleghi italiani, sul pulman noto persone davvero diverse tra loro: due coppie americane sulla sessantina ricoperte di pins olimpiche di edizioni precedenti; un gruppo di giovani francesi armati di bandiere e striscioni (e non sanno che saranno proprio loro a gioire per la vittoria di Antoine Deneriaz); la piccola “armata” dei tifosi svizzeri, con tanto di “campanacci” per una volta rubati alle loro mucche; qualche tifoso austriaco, con tanto di bandiera dipinta sulle guance. Abituato dall’avvicinamento blindato ai nostri stadi in occasione delle partite di calcio dei nostri “campionI”, mi sembra impossibile che tifosi di diversi team tra loro avversari siano serenamente seduti su un pulman a due ore dall’inizio evento sportivo. Penso allo spirito olimpico, certo. Ma penso anche ad un modo di intendere lo sport che, lontano dal calcio, forse è rimasto un po’ più “sport”. E mi sembra davvero una bella cosa.
Grazie all’invito di uno sponsor, lunedi 20 febbraio ho la fortuna di cenare al tavolo con un grande campione e un grande uomo come Alex Zanardi. Per chi non lo sapesse, Alex è un pilota d’auto italiano che, dopo anni da protagonista in vari campionati italiani e mondiali, è approdato con alterne fortune in Formula 1 e ha poi vinto per ben due anni consecutivi (1997 e 1998) il campionato INDY negli Stati Uniti (è un po’ la loro F1, ma su circuiti ad ovale): oltre alla celebrità per i due campionati vinti, Alex è un autentico idolo tra gli appassionati per un sorpasso a Bryan Herta alla famosa curva del “cavatappi” di Laguna Seca. Il 15 settembre 2001 la tragedia: impegnato in una gara in Germania, Alex perde il controllo della vettura al rientro da un pit-stop e viene centrato in pieno dall’auto dell’italo-canadese Tagliani. La corsa all’ospedale gli salva miracolosamente la vita, ma gli vengono amputate entrambe le gambe. Oggi Alex, che cammina grazie a due protesi, è ancora un pilota. Sembra incredibile, ma il 19 ottobre 2003, a Monza, Alex è tornato a correre nel Campionato Mondiale Turismo, vincendo anche una gara lo scorso anno in Germania (come dice lui, “la prima volta che nello sport un atleta diversamente abile ha battuto atleti normali”). Da buon romagnolo la serata trascorre con il piacevole racconto di decine di aneddoti della sua carriera e della sua vita. Alex racconta di piloti, di sport e di passione; non si vergogna di raccontarci di come si “costruisce” le gambe, nell’officina vicino a casa; di come la sua esperienza è sostegno vero a tanta gente. E con un pizzico di orgoglio, ci dice che il suo incidente in Germania era catalogato dal prontuario della NASA come “di sicuro decesso per la persona coinvolta”. Beh, la NASA, qualche mese dopo, ha dovuto aggiornare il suo prontuario.
Nella serata di venerdi 24 febbraio, al Palavela di Torino, si disputa l'attesissima finale di pattinaggio artistico femminile. Attesissima per noi italiani, perchè in gara c'è Carolina Kostner, la nostra portabandiera nella cerimonia d'apertura; ma attesissima anche da americani e russi per la sfida che si rinnova tra due campionesse come Sasha Cohen e Yrina Slutzkaia. Non brillante nella prima prova due giorni prima, Carolina Kostner scende sul ghiaccio nel penultimo gruppo ed è subito chiaro che la zona medaglie è per lei inaccessibile. Il pubblico del Palavela la sostiene, ma “giocando in casa” mi aspettavo più italiani e più tifo. Chi c’è sulle tribune? Italiani poco “calorosi” forse? Dopo la straordinaria performance della giapponese Shizuka Arakawa (che poi vincerà l’oro), tocca a loro, le ultime due: Yrina prima, Sasha poi. E lì succede qualcosa di bello. Sulle tribune compaiono tantissime bandiere americane e russe, partono i cori “U-S-A” e “Russìa” (con l’accento sulla “i”), il Palavela è una bolgia. Una accanto all’altro siedono i tifosi di due paesi così lontani, così diversi per mentalità e storia, per mezzo secolo uno contro l’altro armati (e chi ha vissuto la stagione del muro di Berlino sa cosa ha voluto dire), ma oggi in modo naturale in un palazzetto olimpico a sostenere le loro campionesse. Fantascienza vent’anni fa, realtà oggi.
Ripensavo a tutto questo e a questi fantastici giorni mentre domenica 26 febbraio, allo Stadio Olimpico, guardavo Isolde Kostner, con il suo pancione da futura mamma, spegnere la fiamma olimpica; ad uno sport sempre così, in grado di raccontare storie positive, testimonianze di uomini e donne vere: negli stadi, nei campi di periferia, negli oratori, nel nostro GSO. E me lo sono augurato per tutti noi.
Ermanno Zacchetti
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